Provate a prendere un foglio bianco. A guardare davanti a voi e a dipingere ciò che vedete con le parole.
Questo era secondo Italo Calvino un ottimo esercizio per imparare a dare un nome a tutte le cose e imparare a scrivere: fare un dipinto senza i colori.
Provate ora a pensare di fare questo esercizio mentre osservate qualcosa di cui non conoscete il nome. Non avete scelta: dovete riuscire a costruire un’immagine con le parole, a rivelarne il significato con altri concetti, ad avvicinarvi delicatamente alla figura che avete davanti agli occhi senza perderne il senso, senza falsare l’immagine. Se l’esercizio riesce, la “cosa” inizia a prendere forma, viene finalmente comunicata, inizia ad esistere.
Dare un nome alle cose significa farle esistere, dare loro un volto e quindi gettare una luce nuova sul loro essere. Ma non sempre è cosa semplice.
A dicembre 2017 a Pinerolo è stato inaugurato il primo spazio in cui venivano offerti pranzi e colazioni gratuitamente a chiunque non potesse permetterseli. Il Consorzio Coesa si è fatto carico della sua gestione e, grazie ad una fitta rete di partner e donatori di cibo invenduto, il numero di presenze è aumentato a vista d’occhio: nel 2018 sono state servite 5mila colazioni e 6mila pranzi, i clienti continuavano ad essere soddisfatti e le idee per nuove attività non sono mai mancate. Per tutti era “il Centro Diurno di via Lequio 36” o più semplicemente “il Centro Diurno”. Trovargli un nome non era stata la priorità. Pinerolo non è una metropoli, molte comunicazioni avvengono con il passaparola, tutti sapevano dove trovare il Centro diurno, proprio di fianco al centro sociale degli anziani, vicino alla piazza.
Il cibo nel tempo si è tramutato in un mezzo per intercettare persone che altrimenti sarebbero isolate diventando così un luogo dove le tensioni vengono disinnescate, uno spazio di incontro, aperto, senza limiti di soglia, dove poter condividere le proprie frustrazioni, ma anche le risorse. Dove chi vuole può dare una piccola mano o anche fare volontariato, proporre nuove attività o solo passare e scambiare quattro chiacchiere con gli altri clienti o con Fabio, l’instancabile educatore che ogni giorno dedica la massima cura per rendere il Centro Diurno un luogo piacevole dove stare, e dove tornare.
Un posto così pieno di significati, di storie e intrecci meritava di essere chiamato con un nome all’altezza del suo valore, del suo significato.
Dare un nome alle cose significa non solo farle esistere, ma anche inventare la loro identità. E spesso richiede un aiuto esterno.
Nel caso del Centro Diurno, immaginare il nome di un servizio che cerca di rispondere a bisogni sociali, condivisi, collettivi richiede più di uno sforzo individuale: serve un team di persone che hanno quotidianamente esperienza diretta della “cosa” da definire. Inoltre, il rischio di stigma sociale è alto e bisogna fare una grande attenzione alle parole che vengono usate.
Ed è qui che è entrata in gioco Sara, esperta di no-profit, formatrice in supporto del dialogo “dal basso” e di narrazioni partecipate. Grazie a lei, il nucleo di gestione ha dedicato un pomeriggio di lavoro alla riflessione sugli obiettivi, sui valori e la mission del Centro Diurno, riuscendo a fare luce su cosa sia veramente quel luogo, su come non solo vengano offerti dei pasti gratuiti, ma anche una relazione vera, un ascolto sincero, che può aiutare ciascuno a rendersi partecipe della propria vita, a ritrovare la propria dignità. In poche parole, un posto dove tornare, un posto giusto, IL Posto Giusto.
Ed ecco finalmente il nome, che racchiude in modo semplice, l’identità di questo luogo, che si è costruita grazie alle esperienze delle persone che lo abitano, che lo rendono vivo e unico.
Osservando con curiosità come avviene la costruzione (e la comunicazione) dell’identità di “cose” che non hanno ancora trovato un nome nel linguaggio comune, è semplice accorgersi che c’è una strenua ricerca di modi evocativi e d’impatto per trasmettere significato, spesso spinti dalla competizione: bisogna essere più riconoscibili di altri, con un nome più incisivo, un hashtag unico e uno slogan inconfondibile.
Ma non sarebbe forse più importante tornare a cercare di definire le cose con le parole, assecondando il loro significato?
Come diceva Calvino, si usano le parole per identificare le cose: “albero” ad esempio, ma a voler essere precisi un albero può essere un pioppo, una quercia, un abete…Questione di parole, potrebbe obiettare qualcuno. Ma in realtà se dici pioppo ti potranno venire in mente le strade coperte di piumini in primavera, se dici abete le foreste nelle montagne o l’albero di Natale.
Quante cose possiamo far capire agli altri se usiamo le parole giuste, se abbiamo la pazienza di cercarle, se sappiamo trovarle in quello che abbiamo davanti agli occhi.
Le parole, si sa, sono importanti: lunga vita al Posto Giusto!